I miti in mutande - le parole della notte

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I miti in mutande

Note

Agli inizi degli anni '80 c'era una canzone che, oltre ad essere gettonatissima, racchiudeva una sorta di profezia:
Video killed the radio star. Il video uccide le stelle della radio.
E' ancora validissima e può essere estesa alla realtà del calcio odierno:  
Video killed the football star.
La televisione, con i suoi diritti miliardari ucciderà il gioco del calcio. Lo sta già facendo. Una volta i campioni avevano le pezze al culo, lavoravano e poi in bici raggiungevano il campo per allenarsi. I diritti d'immagine li riservavano allo specchio del bagno quando si facevano la barba. E i più bravi di loro non sono diventati miliardari, non hanno tenuto bottigliette di costosissimi profumi in mano o mutande di moda in bella vista. Loro hanno fatto molto ma molto di più dei vari Ronaldo, Beckham e feticci vari.
Loro sono diventati miti.
Questi invece verranno dimenticati immediatamente dopo che le loro donne li avranno traditi con altri più ricchi e famosi, e immediatamente dopo che la chirurgia plastica non potrà "sostenerli" come sponsor comanda. Che pena mi fanno questi miti in mutande quando a poco più di trent'anni e dopo avere sperperato ingenti patrimoni (e matrimoni), corrono dietro al gossip ad ogni costo; quando si fanno paracadutare in sperdute isole per sperduti ex famosi. Video killed the football star. Ma non ucciderà solamente le stelle del calcio: ha già defenestrato, ucciso, soppresso un modo di vivere, uno stile di vita. Chi ha la mia età o ci orbita intorno, se solo chiude gli occhi, si sentirà proiettato, come in un film di Tornatore, nelle domeniche della sua gioventù. Due erano i culti domenicali: la Santa Messa per i credenti e presunti tali e, per i credenti ferventi di calcio "Tutto il calcio minuto per minuto" dallo studio centrale Roberto Bortoluzzi con radiocronaca dai campi principali di Enrico Ameri, Sandro Ciotti e Alfredo Provenzali. Sì, certamente, anche novantesimo minuto e la domenica sportiva, ma quelle radioline a transistor appiccicate all'orecchio, quelle 500 e 600 posteggiate in piazza ed affollate dai fortunati 6-7 che entravano (sì, 6-7 e anche di più) e il capannello attorno all'auto pronto a drizzare i radar delle orecchie per ascoltare la mitica frase: "Scusa Ameri..",  per controllare e verificare i risultati della schedina. La schedina del totocalcio della Sisal, la schedina del totip (come non ricordare Alberto Giubilo e il suo aplomb), erano il sogno non tanto nascosto di tutti. Tutti nessuno escluso. Il sogno era "vincere la sisal". Fare 13 al totocalcio divenne anche un modo di dire. Era quella la vincita "umana", qualche milione di lire che ti faceva sentire importante, ti elevava dalla sottomedia, ti faceva sentire anche bello. La proiezione esponenziale della speranza ci ha fatto passare dal "se potessi avere mille lire al mese", al tredici al totocalcio, ai famosi ed esagerati 150 milioni della lotteria di capodanno. Dopo il sei gennaio si continuava a lavorare come prima, più di prima. Proiezione esponenziale perché  da quelle vincite "umane" si è passati alle decine di milioni di euro del superenalotto, cifre pazzesche che fanno accanire ancora di più verso il gioco, la puntata, generando alla fine solo disperazione. Anche questa compulsione verso il gioco è colpa dei media, delle televisioni, di sua maestà la pubblicità (anche del governo ladro, ovvio).
Rivoglio il totocalcio, il totip. Rivoglio la radiolina a transistor, Nicolò Carosio e il suo quasi gol, Nando Martellini campionidelmondo! campionidelmondo! campionidelmondo!; rivoglio Ameri e soprattutto Ciotti, quella sua voce alla Louis Armstrong, entrambi accomunati dal jazz; rivoglio il clamoroso al cibali , l'amalgama di Massimino; rivoglio Anastasi, che quando segnava lui, gli operai della fiat si sentivano più forti, e poi ancora Mazzola e Rivera, Riva, Messico e nuvole.

Tutto questo rivoglio, rivorrei, se solo potessi giocare a dadi con Dio. E se mi facesse vincere.

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