A favuriri - le parole della notte

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A favuriri

Note

Alla fine degli anni '70 lavoravo già in esattoria, quando ancora le esattorie erano gestite dagli esattori privati.
Il solo termine, esattore, in Sicilia assume un valore decisamente marchiato. La mafia era fortemente attratta dalle esattorie, e non tanto per il riciclaggio di denaro sporco (ben minima cosa), ma soprattutto perché  erano delle vere e proprie miniere d'oro, con aggi pazzeschi, tolleranze nei versamenti di quanto si riscuoteva, e tanto altro ancora, non ultimo il controllo capillare del territorio, strumento fondamentale per la gestione dei voti e, quindi, del potere. Io ho avuto la fortuna di avere un esattore padre di famiglia, che mi ha voluto molto bene, ricambiato. Tutta questa premessa "sociologica" solo per dire che l'esattore mi aveva chiesto di tenergli la contabilità "privata" della sua campagna, e il sabato mattina invece di andare in ufficio, mi occupavo di pagare gli operai che lavoravano d'annata sana nella campagna del mio (e loro) principale.
La prima volta che scesi a pagare gli operai (avete mai fatto caso che per andare in campagna si scende sempre?)  arrivai verso le 10,30 e li trovai che stavano per mangiare. Seppi poi che per loro era un orario normale visto che iniziavano a lavorare alle sei di mattina e finivano verso le quattro di pomeriggio. Erano seduti a cerchio davanti al fuoco acceso e ognuno di loro usciva il suo bel porta-manciari e metteva a disposizione di tutti quello che aveva portato da casa. Nel frattempo qualcuno aveva buttato in mezzo alla cenere calda delle olive nere appena raccolte; ognuno di loro, infine, tirava fuori da una sacchina il pane, apriva il coltello a punta, utilizzato come unica posata e iniziava quello che era un rito sacro: mangiare.
Quei visi già stanchi per le ore di lavoro pesante, immediatamente si rilassavano, sorridevano, scherzavano, parlavano e sparlavano. E mangiavano.
Mi accolsero con calore (sapevano che ero lì per la paga settimanale, 'a simanata ) e il più anziano, don Natali, mi invitò a mangiare assieme a loro, con un semplice e accogliente " A favuriri ! " Non so perché risposi di no; per educazione cercai anche di motivare il mio no, dicendo che per me era presto, che poi non avrei pranzato a casa, e cose del genere. Sicuramente sono stato molto convincente, perché non me lo ripeterono più. Aspettai che finissero di mangiare, li guardavo e man mano che aprivano quei contenitori io mi sentivo peggio dei cagnolini che bazzicavano lì attorno: almeno loro qualcosina alla fine l'avrebbero avuta. Peperoni arrostiti, frittate con verdure per me sconosciute, insalata di pomodoro e cipolla e di arance e cipolla preparate sul posto da uno del gruppo che a turno levava mano prima degli altri per accendere il fuoco, fare le insalate, riempire la brocca di vino, ecc. Carne di solito non ce n'era; un po' di salsiccia secca piccante, una bella fetta di pecorino, acciughe sott'olio, ogni tanto ma raramente qualche polpettina con la salsa. Finito quasi di mangiare e prima di riporre il pane, si fornivano di una bacchetta di ulivo selvatico, 'u scorpu, appuntita da un lato e con questo magico utensile andavano  a cercare tra la cenere le olive, le infilzavano, ci soffiavano sopra per far cadere un po' di cenere e poi le strusciavano calde calde sul pezzo di pane, gettavano l'osso in mezzo al fuoco e mangiavano quel pane annerito dalla polpa e dal succo dell'oliva. Se il buon Dio o un Suo incaricato mi avesse fulminato sull'istante, me lo sarei meritato: non so bene quale fosse il mio peccato, ma di sicuro doveva essere di quelli mortali perché la penitenza che stavo scontando era esagerata!
Non vidi l'ora che fosse di nuovo sabato. Come un serial killer preparai un piano strategico per ricostruire la stessa situazione della settimana precedente. Mi fornii di coltello a punta, prelevai i soldi per la paga, comprai sei cannoli di ricotta (quando volete parliamo dei cannoli di ricotta di don Araziu Salernu di Mineo…) e all'orario preciso spaccato mi trovai sul posto.
Il copione fu identico alla settimana precedente, fino al famoso e da me tanto atteso invito: A favuriri !
Sono sicuro che avevano già intuito che il mio sarebbe stato un sì secco, e fu un sì che esprimeva rispetto e gratitudine.
Inutile dire che siamo subito diventati amici, che spesso don Natali mi invitata a casa sua quando sua moglie faceva 'u pani 'i casa più buono del mondo, che scendere il sabato mattina in campagna era diventato per me un ritorno  alla natura, alla bellezza, un godere del sorriso di gente normale, di persone per bene.

La vita e l'attività lavorativa mi hanno portato sia prima che dopo a frequentare ambienti diversi, cene impegnative, circoli ufficiali, pranzi con tanto di etichetta, di posate per la frutta, di camerieri appiccicati alle spalle pronti ad intervenire; ma se in questo momento mi dessero la possibilità di scegliere tra una cena con la regina (non importa quale) o un pezzo di pane di casa con le olive nere resuscitate dalla cenere calda con lo scorpu appuntito, stricati sul pane e accompagnate da una truzzata di vino locale in compagnia di don Natali Spampinatu e della sua chiurma; se dovessi e potessi scegliere, non avrei il minimo dubbio. La regina può attendere.

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