'A vicenna - le parole della notte

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'A vicenna

Note


Abitando in un piccolo paese, capita giornalmente di imbattersi in una strada, un cortile, un qualcosa insomma che se per altri è solo un posto come tanti, per te invece è un luogo della tua memoria, infanzia, adolescenza.
I miei genitori arrivarono a Licodia da Vittoria agli inizi degli anni '50. Io sono nato in un albergo all'entrata del paese, ai canala, dove la proprietaria, 'a za' Mariuzza 'a salara, affittava camere agli impiegati che venivano da fuori: quelli del dazio, dell'esattoria, qualche maestra, carabinieri, ecc.
Pensando che il loro soggiorno a Licodia sarebbe stato breve, i miei non decisero di comprare casa, quindi abitavamo in case in affitto. Non so bene per quale motivo cambiammo un numero esagerato di case. Dall'albergo andammo in via Mugnos e in via Mugnos cambiammo casa quasi subito, spostandoci di due porte più avanti, per poi andare ad abitare ai cappuccini e da lì in piazza. Insomma.. una giostra.
Di tutte le case in cui sono vissuto porto con me ricordi particolarissimi, precisi, nitidi, ma quello che mi fa piacere ricordare in questa nota sono i vari canala che ho cambiato insieme alla casa. Il canali nel nostro linguaggio parlato è la fontanella pubblica (canali è anche la tegola, 'a ciadamida, che convoglia l'acqua del tetto nella canalata che poi attraverso 'u canaluni scarica l'acqua o in strada o nelle cisterne). Il canali era una cosa seria, fondamentale, e coinvolgeva a turno quasi tutta la famiglia. L'unica ad essere dispensata era la mamma. Papà a dire la verità era molto attivo, però lui andava a lavorare, mica poteva guardare a vicenna. Eccoci arrivati. Guardare la vicenda, meglio ancora guardare a vicenda. A vicenna. Ma che significa 'uardari a vicenna? A vicenna, a vicenda, alternarsi, una volta ciascuno, seguendo una cronologia. Fare la fila, rispettarla e farla rispettare. Per tutti quelli che si sono messi all'ascolto negli anni in cui giravi il rubinetto e usciva l'acqua, calda e fredda, lavatrice, doccia, ecc. ecc. è appena il caso di far presente che questo banale movimento del polso ci costava ore di attesa e altrettante ore di fatica, quando addirittura non veniva sfiorata la rissa. Ore di fila in attesa che nella fontanella arrivasse l'acqua. Le fontanelle che frequentavo io da bambino erano quelle nel piazzale davanti la sala da barba di don Minicu 'a arza; la fontanella un po' più a scendere, all'angolo di via Tunisi, dove ogni mattina, estate e inverno, don Pippinu Musca scendeva in canottiera, asciugamano sulle spalle, saponetta, pettine fino e brillantina, per la sua toletta quotidiana; 'u canali 'i don Marcellu, 'u canali d' 'o Spiritu Santu, 'u canali d' 'a chiazza e poi il canali che mi ha visto crescere e sviluppare: 'u canali all'angolo di via D'Azeglio, davanti la casa del maestro Albo e del dottore Mirabella. Crescere e sviluppare, sì! Perché quella fontanella mi ha visto con le quartaredde da 5 litri, di zinco, poi con le quartare da 10, sempre di zinco, e infine con i bidoni di plastica (invenzione prodigiosa) a contenuto variabile, 5, 10, 15 e anche 20 litri. Si ammassavano i contenitori ai bordi della fontanella: quelle bellissime e delicatissime quartare di coccio, quelle di zinco e i bidoni di plastica, e la gente si spostava all'ombra a parlare e …'uardari a vicenna.
Poi, come dono di Dio, ma per l'azione pratica di don Paolino La Spada, don Paulinu 'i l'acqua, che azionava le saracinesche per smistare l'acqua nelle varie zone del paese, finalmente arrivava l'acqua, preceduta da un sibilo che durava alcuni minuti e che era il segnale sonoro che si attendeva per maniarsi e ricomporre la fila. E qui, se non stavi attento, rischiavi di venire sopraffatto. C'erano però anche delle grandi manifestazioni di solidarietà: il ragazzino che aiutava la vicina di casa a portare 'u bummulu chinu, la donna aiutata dalla comare a portarsi la quartara, un vrazzu l'unu, ecc.
Zia Tresa mandò il nipotino venuto da Roma a riempire un piccolo contenitore d'acqua nel canali di don Marcellu. Alcune donne vedendo il bambino forestiero, per quel nostro innato senso di ospitalità, lo invitarono a riempire subito quel piccolo contenitore e gli dissero: "Veni cca, 'ppuzza tu!" Il bambino si senti umiliato e offeso e piangendo rispose: "Non è vero! Puzzate voi!" E se ne tornò dalla zia, che impiegò non poco tempo a spiegare al bimbo che 'ppuzzari (*) non significava fare puzza, bensì era un invito a riempire subito il bidoncino.  
Ripensando a quelle mattine calde, assolate, di fronte ad una fonte d'acqua, non posso non fare un collegamento con scene che di tanto in tanto vediamo ancora in tv, nei paesi del terzo mondo. E la riflessione è sempre quella: in fondo, da noi, il terzo mondo è stato solo l'altro ieri…  
(*) 'ppuzzari significa attingere liquidi da un serbatoio immergendo un recipiente come si farebbe in un pozzo: appozzare, infatti. Il termine siciliano ha anche altri significati, tipo "piegarsi in avanti", come si fa per controllare e guidare il secchio nel pozzo, ma è una sottomissione all'altrui volere, un'azione passiva, da perdente: nei giochi dell'adolescenza chi perdeva 'ppuzzava per pagare pegno.

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